L’ipnosi in psicoterapia
Molti studi (tra cui Hammon 2010, Byrne 1973, Montgomery, 1955) hanno dimostrato la validità dell’ipnosi nel trattamento dei disturbi d’ansia (attacchi di panico, disturbo post traumatico da stress, disturbo d’ansia generalizzato).
La psicoterapia è una disciplina che inizia ad essere studiata in modo scientifico negli anni ’50, dimostrando in modo statistico che le tecniche di tipo cognitivo comportamentale e l’ipnosi portavano a effetti positivi nella terapia dei pazienti.
Modello teorico e clinico degli specialisti dello studio Modelli di Cambiamento è l’integrazione tra il modello cognitivista e il modello ipnotico. Il nostro approccio è quindi di tipo esperienziale.
Noi siamo le esperienze che abbiamo vissuto
Scopo della terapia con l’ipnosi è creare nuove esperienze perché la persona possa vivere diversamente la quotidianità e gli eventi che di solito vive male. Come spiegano gli studiosi Holmaat e Svodoba (2009):
Le esperienze emozionali possono rinforzare l’apprendimento alterando la forza delle connessioni sinaptiche del cervello.
Per mezzo dell’ipnosi il paziente può vivere esperienze che di solito gli arrecano sofferenza in modo differente, grazie al terapista.
Così facendo il cervello cambia le idee che ha di sé e del mondo: le emozioni cambiano i pensieri.
Ci sono molte tecniche per modificare le esperienze che causano malessere: la tecnica del cambio di storia, tecniche di desensibilizzazione, reparenting (per vedere un esempio di reparenting clicca qui)
Come avviene il cambiamento con l’ipnosi?
Il cervello lavora attraverso due processi:
– Processo logico (abitudini apprese, schemi)
– Processo emotivo (l’istinto, le emozioni)
Nelle vita quotidiana è il processo logico ad essere più dominante nella vita delle persone. In ipnosi si fa sì che il processo emotivo e il processo logico-razionale invece vadano più in parallelo! Affinché le emozioni possano cambiare gli abituali modi di pensare.
A livello neurologico acccade infatti che l’attività cerebrale si sposta verso il lobo destro, causando una inibizione del lobo frontale (Alexander, 2007)